Come si configurano e fanno rispettare i diritti dei creator nel mancato rinnovo degli accordi tra META e SIAE?
Ormai è cosa nota, credo, per tutti: nelle ultime ore, molti brani musicali sono spariti dalla libreria MUSICA di Instagram, piattaforma social di proprietà di Meta Platforms, Inc. e, in maniera retroattiva, anche da tutti i contenuti già creati presenti nelle gallery (i.e. i reels e i video).
Non è sparita tutta la musica disponibile, bensì solo la musica “famosa”, i brani “belli” o più circostanziatamente, i brani iscritti alla SIAE , Società Italiana degli Autori ed Editori che si occupa della tutela del diritto d’autore.
(breve off-topic, ma neanche tanto: se ti interessa il rapporto tra legge e web ascolta il mio podcast Maledizioni Guidate)
Cosa è accaduto? Perché non c’è più musica su Instagram?
Semplicemente, Meta e SIAE, non hanno potuto rinnovare l’accordo sulle licenze perché, come si legge nel comunicato stampa di SIAE, è stata fatta una proposta di rinnovo unilaterale da parte di META, in cui non ci sarebbe stata sufficiente trasparenza, anche in in merito ai ricavi derivati dai contenuti con musica a tutela SIAE.
Questa informazione negata da Meta è stata chiesta al fine di stabilire le somme da suddividere tra gli artisti iscritti.
In pratica, SIAE ogni anno assegna tra i suoi iscritti le royalty che sono i guadagni derivanti dallo sfruttamento di un brano: più questo viene “suonato” più l’artista guadagna; e questo vale anche per gli usi effettuati usati sulle piattaforme social. La richiesta dei dettagli dei ricavi sarebbe servita con ogni probabilità a rilanciare una nuova proposta economica, ma Meta ha risposto con una proposta unilaterale che SIAE nel suo comunicato definisce “sconcertante” e in “evidente contrasto con la direttiva Copyright ” che imporrebbe trasparenza e collaborazione tra le parti interessate.
Per contro, Meta sostiene di aver garantito all’ente condizioni non molto differenti da quelle precedenti e, soprattutto, identiche a quelle offerte alle altre società di gestione collettiva europee (infatti Meta ci tiene a ribadire che, nei restanti 150 paesi in cui i suoi social sono attivi, non ci sono stati problemi nel rinnovare gli accordi).
Sia Meta che SIAE comunicano comunque di voler continuare una trattativa, ma i toni del comunicato stampa di SIAE usa termini forti ribadendo che non accetterà “imposizioni da un soggetto che sfrutta la sua posizione di forza (che io definirei dominante) per ottenere risparmi a danno dell’industria creativa italiana”.
In tutto questo, poche settimane dopo il mancato rinnovo, è intervenuta anche l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il mercato (AGCM) aprendo un’istruttoria per presunto abuso di dipendenza economica da parte di META (secondo l’AGCM Meta avrebbe abusato dello squilibrio contrattuale di cui beneficia chiedendo a SIAE di accettare un’offerta economica inadeguata, danneggiando sia la competitività di SIAE sia gli autori iscritti a SIAE).
Insomma, due posizioni di potere a confronto, dal momento che anche SIAE non è certo la piccola fiammiferaia; in quanto ex monopolista, è la collecting leader di mercato in Italia, come ci ricorda un articolo del Sole 24 ore.
infatti, alla fine, chi resta con il cerino in mano sono gli artisti. Ma questa è un’altra storia che loro conoscono bene, purtroppo.
E i diritti dei creator?
In questo psicodramma tra colossi, come nei casi si divorzio familiare e per parafrasare una frase fin troppo comune
“nessuno pensa ai bambini creator… e ai loro diritti”.
Perché sì, anche voi content creator, anche voi instagrammer, avete dei diritti legati al frutto del vostro ingegno.
E sono loro, i creatori di contenuti su Facebook e Instagram, i grandi assenti dal dibattito, almeno per adesso, come se non fossero loro che creando reel e contenuti sulle piattaforme Meta
- aumentano le royalty per gli artisti iscritti a SIAE (e ad altre eventuali società nel mondo);
- fanno guadagnare Meta in pubblicità e dati di interazione;
Sopraggiunge un altro problema:
Oltre alla musica, si perdono le parole dei creator
Se la musica è proprietà intellettuale e frutto dell’ingegno di artisti, molti dei quali iscritti a SIAE, le parole, l’ambientazione e il plot di un video realizzati dai creator dell’internet sono frutto del loro ingegno, dunque di loro proprietà.
Tuttavia è accaduto anche che tutti i contenuti che presentano l’inserimento dei brani SIAE di sottofondo a messaggi parlati, ad oggi, risultano MUTI. Non senza musica, proprio MUTI.
In questo modo si sono persi, almeno per ora (noi speriamo che ritornino, persino il mio profilo è in parte muto!), tutta una serie di contenuti che da personali diventano collettivi – non nel senso che “la roba che sta su internet è di tutti” – e che contribuiscono a rendere la società più creativa e informata; pensiamo a tutorial su come fare la parmigiana o alla guida ai locali più economici di Londra oppure ancora alla testimonianza di volontari e attivisti che, nel loro piccolo, cercano di sensibilizzare gli utenti del web, spesso troppo presi dallo scrolling selvaggio.
La ragione di questo “mutismo” diffuso potrebbe essere di ragione tecnica: pare che tutte le tracce presenti in un video vengano compresse per renderlo più fruibile e meno “pesante”, sia nel momento dell’upload da parte del creator, sia nel momento della visione da parte dell’utente (ovviamente questa non è farina del mio sacco: si tratta di un’ipotesi formulata dall’ing. Mattia Munari in risposta ad un mio post su Linkedin)
Da giurista che si occupa di contratti tra creator e aziende non posso non immaginare le ricadute di un tale comportamento di META sui contenuti creati a seguito di accordi pubblicitari/sponsorizzazione o di altro genere: è chiaro che esiste un inadempimento contrattuale se il contenuto viene meno improvvisamente ma è altrettanto chiaro che il creator ne è del tutto incolpevole. Tuttavia non fatico a credere che potrebbero essere lanciate azioni di responsabilità (temerarie, attenzione, il che vuol dire che poi vengono punite con una multa dal giudice!) perchè spesso la vita dei tribunali è molto più ardita delle più sfrenate fantasie.
Come finirà?
Nonostante spesso i clienti mi chiedano previsioni, ahimè, non ho la sfera di cristallo (all’abilitazione al massimo ci prestano una toga per fare il giuramento, figuriamoci darci in dotazione una sfera di cristallo!), tuttavia un po’ di buon senso e una profonda conoscenza del mondo dell’internet mi fanno azzardare una ipotesi; Meta e SIAE troveranno un accordo tra qualche tempo, magari l’hanno solo buttata in caciara per fare “strategia”.
Meta non può non avere gli artisti rappresentati in Italia da SIAE nelle proprie librerie musicali (attenzione, non si parla SOLO di artisti italiani) e SIAE non può dire ai suoi iscritti “scusate, quest’anno niente royalties da parte dei social network” (del resto si sa, ci sono certi artisti che sono noti per spaccare chitarre sui palchi, cosa volete che sia spaccarle contro le vetrate degli uffici SIAE?).
Inoltre ci sono i creator che, pur non avendo una vera a propria rappresentanza, al momento, costituiscono il “proletariato digitale” che fa, in parte, arricchire le piattaforme e che da esse non hanno la benchè minima considerazione; soprattutto nel caso della piattaforme Meta, da tempo ci si lamenta sia delle visualizzazioni dei contenuti crollate sia dell’assistenza carente se non addirittura inesistente.
Ecco, dicevamo loro, i creator lamentando quest’altro problema potrebbero essere definitivamente portati a lasciare Meta per le piattaforme concorrenti.
I comunicati di entrambe le parti, in ogni caso, al momento continuano a dichiarare apertura e speranza di trovare un accordo.
In sostanza, però, questa vicenda ci fa capire come è necessario che si prenda coscienza del fatto che, nel 2023, la creator economy esiste e che non possono esserci più regolamentazioni – terms of service, per la cronaca – disposte unilateralmente da società private.
Le piattaforme di Meta, Google e compagni, infatti, diventando uno strumento di diffusione per le più svariate attività professionali e commerciali, impattano in maniera significativa sulla vita e sul lavoro delle persone. Ad oggi possiamo tutti serenamente rilevare una mancanza di controllo e tutela da parte di quei soggetti (come ad esempio Stati e Autorità Garanti) che sarebbero per legge e vocazione chiamati a tutelare quelle moltitudini operose ed operaie che sono i loro amati e decantati “cittadini digitali”; in realtà, spesso si limitano ad aprire uffici nel metaverso e girarsi dall’altra parte quando sarebbe opportuna una decisa presa di posizione.
A favore dei cittadini, però.