La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia (nuovamente) per violazione del diritto di vita privata e familiare; nella fattispecie la condanna è avvenuta a seguito del ricorso effettuato da una madre, che ha richiesto una pronuncia sulla legittimità dei provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni e riguardanti lo svolgimento di incontri dei propri figli con il padre, che si era dimostrato particolarmente violento e da lei separato.
Che il sistema giudiziario italiano non sia il massimo in termini di rispetto dei diritti umani, e in termini di tutela per le vittime di violenza e reati gravi, lo abbiamo purtroppo imparato negli anni, condanna dopo condanna e risarcimento dopo risarcimento; alcune condanne e sentenze balzano più di altre agli onori della cronaca, perché particolarmente “antipatiche” e perché toccano temi che all’opinione pubblica stanno particolarmente a cuore, come nel caso della violazione dei diritti dei bambini e per i casi di violenza di genere.
Il caso della sentenza del novembre 2022 li racchiude entrambi.
Che cosa è, esattamente, la CEDU?
La CEDU, acronimo di Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, è stata firmata nel 1950 dal Consiglio d’Europa, ed è un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa. Tutti i paesi che formano il Consiglio d’Europa, sono parte della convenzione, e alcuni di essi sono membri dell’Unione europea (UE).
La convenzione ha istituito la Corte europea dei diritti dell’uomo, volta a tutelare le persone dalle violazioni dei diritti umani e, pertanto, ogni persona i cui diritti sono stati violati nel quadro della convenzione da uno Stato parte può adire alla Corte, le cui sentenze sono vincolanti per i Paesi interessati.
E’ importante sottolineare che la Corte CEDU ha sede a Strasburgo ma non non deve essere confusa con la Corte di giustizia dell’Unione europea.
La sua è una funzione “di supporto”, sussidiaria o correttiva degli organi giudiziari nazionali, cioè può essere adita soltanto nel momento in cui le vie di giurisdizione interna si sono esaurite.
Insomma, una volta terminato il procedimento giudiziario italiano, qualora non si fosse ancora soddisfatti, è possibile ricorrere in estrema ratio alla CEDU, come è avvenuto nel caso di cui oggi ci occupiamo, quello di una madre che, con il supporto di un’associazione di tutela delle donne vittime di violenza, ha proposto e vinto un ricorso per violazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Il caso era stato originato dalla denuncia dei ricorrenti (la madre e i figli minorenni), secondo cui lo Stato italiano era venuto meno al dovere di proteggerli e assisterli durante gli incontri con il padre – tossicodipendente e alcolista – accusato di comportamenti violenti, anche nei confronti della madre, durante gli incontri con i figli.
Il caso della madre che ricorre alla CEDU per violenze da parte del sistema giudiziario, verso se stessa e i suoi figli
Il caso, purtroppo, è uno dei tanti ed è piuttosto complesso, come complessa, del resto, è la vita, soprattutto in presenza di abusi. Molto in breve, e senza alcuna pretesa di esaustività, la storia è questa: in un contesto di violenza familiare, la madre cerca di portare in salvo se stessa e i suoi bambini rifugiandosi in un centro per vittime di violenza.
E’ importante fare una piccola precisazione: anche in queste situazioni, il sistema prevede che i minori non perdano del tutto i contatti con il genitore abusante adoperandosi per ristabilire un certo equilibrio relazionale.
Il problema qual è stato?
Che, proprio per non perdere il legame tra il genitore abusante e i figli, il tribunale per i minorenni competente disponeva degli incontri familiari ma, se all’inizio essi dovevano effettuarsi in ambiente rigorosamente protetto nei locali dei Servizi sociali e in presenza di uno psicologo, a causa delle carenze strutturali dei soggetti deputati allo svolgimento di questi incontri, essi venivano per lo più svolti in luoghi inadatti e senza alcuna misura di protezione.
In sostanza, nonostante i buoni propositi, il padre manteneva il proprio atteggiamento ostile, violento, oppositivo e non idoneo ad un rapporto equilibrato con i propri figli, ancora molto piccoli.
Sono state le avvocate dell’associazione Differenza Donna ad adire la Corte per vagliare la legittimità dei provvedimenti dei tribunali nazionali.
La sentenza della CEDU contro il tribunale civile
La Cedu condanna l’Italia, dunque, per la violazione dell’Articolo 8 della Convenzione Europea per i diritti Umani, inerente il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La CEDU rileva che, nonostante le segnalazioni ricevute, il Tribunale non era intervenuto per sospendere i rapporti tra i figli e il padre e che i minori, per tutto questo tempo, “erano stati costretti ad incontrare il padre in un ambiente instabile che non favoriva il loro sereno sviluppo, nonostante il tribunale fosse stato informato che l’uomo non seguiva più il programma terapeutico riabilitativo come tossicodipendente”.
I bambini avevano bisogno di supporto psicologico, soffrivano per aver dovuto assistere alle violenze del padre sulla madre e il tribunale NON NE AVEVA TENUTO CONTO, continuando a disporre gli incontri.
Il Tribunale NON AVEVA VALUTATO IL RISCHIO che questi incontri potevano portare allo sviluppo psicofisico dei minori, non tutelando i soggetti che avrebbe dovuto.