“Chi ti purtaru i morti? “, ovvero cosa ti hanno portato i morti? In Sicilia, i doni della morte sono una storia antica. 

La frase “Chi ti purtaru i morti?” è una frase tormentone della mia infanzia, quando il 31 ottobre era “solo” la vigilia di Ognissanti, i regali della morte non ci faceva in alcun modo pensare ai libri e ai film di Harry Potter o alla magia, e i cari defunti ti portavano un regalo dall’aldilà.

Un tempo i regali non erano che dolci a forma di bamboline e omini, con il boom economico potevamo invece sperare anche nei giocattoli, come avviene con Babbo Natale, con la differenza che ai morti non puoi fare richieste specifiche: quello che ti portano, ti tieni.

chi ti purtaru i morti festa morti sicilia

Che poi , da piccola, io non è che la capissi davvero questa festa.
Andavo a visitare tombe (attività che per il bambino medio equivale a sbattere il mignolino nello spigolo) di gente che forse avevo sentito nominare e che mi guardava severa da foto marmorizzate.
Eppure i morticeddi ti mandavano un regalo, quindi, grazie e arrivederci al prossimo anno.
Perché? Perchè i morticeddi si prendevano con me come fanno con i bambini ora, la briga di portarti dei doni?

Perché da piccoli, amabilmente insensibili ad alcune cose della vita, mentre la vita di esplode addosso e intorno, alla morte non ci pensi, non pensi ai morti e questo non pensarci è un taglio nel cuore per i vivi che invece la perdita la conoscono.

tombe festa dei morti sicilia

Perché dopo un po’ la vita “accade” e cominci a perdere persone care: un amico di cancro al cervello, un altro suicida; inizi a scontrarti con la malattia e la morte e quelle facce arcigne in bianco e nero non ti sembrano più così lontane dal tuo mondo.
Succede che, in maniera del tutto inaspettata, cominci a capire il dolore della perdita.

E inizi, quindi, a capire anche la necessità dei nonni, e prima ancora dei nonni, dei nostri antenati fianco ad arrivare ai Celti, di portare i piccoli sulle tombe, per dar loro se non un ricordo, almeno un legame con le persone andate.

La festività e il rito dei regali portati dai defunti è molto probabilmente risalente al calendario celtico, che spostò dal 13 maggio al 31 ottobre la fine dell’anno, con tutte le dovute ovvie contaminazioni con la cultura poi dominante della Chiesa Cattolica.

cimitero festa dei morti

Ma senza arrivare ai Celti o agli avvicendamenti della supremazia culturale in Italia e in Europa, proviamo a metterci semplicemente nei panni dei nostri nonni e bisnonni.
Quando i tempi di vita naturale erano più brevi rispetto ad ora e la morte era un’eventualità e una presenza molto più forte nella vita delle persone, genitori giovanissimi restavano senza genitori, perché il tempo se li portava via come era, per loro, normale.
Erano anagraficamente poco più che ragazzi e crescevano bambini che non avrebbero conosciuto quei genitori dei quali, in fondo e nell’inconscio, loro avevano ancora un po’ bisogno.

Parliamo anche di tempi in cui la mortalità infantile era molto alta e il numero di genitori che sopravvivano ai figli era alta, e l’idea che un figlio venga dimenticato o passi invano su questa terra era insopportabile allora come ora.

Allora i piccoli, ritualmente e ciclicamente, si portavano a passeggio tra le tombe, dove non sempre potevano mettere foto, e il solo modo per dare ai più piccoli un legame con i loro cari che non c’erano più era… creare un circolo magico di doni dei morti in cambio di una visita al cimitero e… un po’ di sforzo di amore da parte di chi è troppo giovane per capire la perdita.

Giusto il tempo di crescere un po’, e quelle perdite le ho capite anche io.

Non che lo si capisca davvero ma cominci, inevitabilmente, a doverci fare i conti. Perché quelle facce le hai vissute veramente, ci hai sorriso e pianto insieme, le hai ascoltate parlare e le hai consolate.
E capisci che il vero significato che la morte porta nella vita, è l’amore.
L’amore di vivere chi non c’è più in un gesto, una frase, un’espressione che adesso fanno parte di te.
E capisci alle fine che, loro, quelli che ami, non se ne sono mai andati e che il ricordo è l’arma più potente per perpetrare la vita.