Concorrenza sleale, cos’è?
Spesso questa espressione viene abusata e fraintesa, quando in realtà corrisponde ad una situazione giuridicamente precisa; nel complesso si tratta di tutti quei comportamenti che, singolarmente, potrebbero non costituire un illecito ma, nel loro insieme, nuocciono all’impresa competitor.
La fattispecie della concorrenza sleale nasce storicamente nel campo degli affari commerciali, trovando la sua matrice ideologica nel neo liberismo economico di Adam Smith, in tempi in cui il Codice Civile moderno ancora non esisteva.
La concorrenza sleale è solo un concetto commerciale?
Certo che no, dal momento che la concorrenza sleale disturba i normali equilibri del mercato e talvolta interviene anche nel rapporto tra dipendenti e datori di lavoro, caso che specifico meglio negli ultimi paragrafi di questo articolo.
Dunque, il legislatore ha deciso di punire la concorrenza sleale mediante delle previsioni di legge.
Chi può essere accusato di concorrenza sleale?
L’articolo che norma i casi di Concorrenza Sleale è l’Art. 2598 del Codice Civile.
Esso prevede diverse fattispecie che non rientrano strettamente in altre normative specifiche già prese in considerazione dal legislatore, come ad esempio quella dell’imitazione di un marchio che è normata dal Codice Civile in genere e, nello specifico da quello della Proprietà industriale.
Secondo l’Art. 2598 del CC, dunque, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
- usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, imita servilmente i prodotti di un concorrente, compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
- diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente,
- si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
L’azione che viene sanzionata è dunque quella di chi imita e/o crea confusione (screditando o acquisendo meriti non dovuti) o ha comportamenti tali da sviare un acquisto, confondere l’acquirente o il cliente in merito ad un’azienda o prodotto.
Le sanzioni sono risarcitorie e prevedono ovviamente anche l’inibizione della perpetrazione dell’illecito o di ciò che ne determina gli effetti.
Se il nostro concorrente fa girare sui social un video che confonde il nostro target merceologico in merito alla proprietà o qualità di un nostro prodotto, chi ha compiuto l’azione di concorrenza sleale secondo la sentenza dovrà risarcirci e rimuovere il video.
Attenzione, non tutti quelli che sembra facciano concorrenza sleale la fanno davvero!
Per intenderci, se qualcuno ti copia l’idea di un reel da Instagram non ti fa concorrenza sleale. Sullo specifico della concorrenza sleale nella creazione dei contenuti sui social, ti lascio un approfondimento ad hoc.
Affinchè si configuri la concorrenza sleale è però necessario che vi siano alcune condizioni:
- lo status di imprenditore (e su questo apriremo una parentesi e un post a parte perché non basta definirsi imprenditrice/imprenditore digitale sulla bio di Facebook per aver essere tali);
- che ci sia oggettiva concorrenzialità tra le parti.
In pratica, per entrare nella fattispecie di concorrenza sleale, è necessario che le controparti abbiano lo stesso target merceologico e prodotti simili e operare nello stesso mercato, anche potenziale o di sbocco.
Dipendenti, ex dipendenti e concorrenza sleale
Quando un dipendente o ex dipendente può essere accusato di concorrenza sleale?
Ci sono dei casi in cui il dipendente di un’azienda, o un collaboratore esterno, lasciano l’azienda e/o il cliente e
- vanno a lavorare o collaborare con aziende competitor
- aprono una loro attività in concorrenza con la precedente.
Si tratta di casistiche abbastanza diffuse e in linea di massima ogni datore di lavoro deve metterle in conto (ed, eventualmente, fare firmare un patto di non concorrenza, di cui dico più avanti), soprattutto quando i contratti sono di collaborazione e non contratti nazionali. (E io, da avvocata, spero sempre che li facciate, questi contratti, anche per le collaborazioni da freelance).
Tuttavia ci sono dei casi in cui un ex collaboratore e dipendente può essere sanzionato per casi di concorrenza e concorrenza sleale verso il precedente partner e datore di lavoro.
Tali casi sono:
- quando diventano imprenditori e attuano azioni di imitazione servile, imitazione del marchio, generazione di confusione e/o discredito sul prodotto del concorrente,
- quando nel precedente contratto erano state inserite delle clausole di non concorrenza.
Alcuni datori di lavoro chiedono espressamente, nel contratto con il collaboratore o dipendete, di non creare altre imprese o prodotti che vadano in concorrenza territoriale o merceologica con i propri prodotti e/o di non andare a lavorare per competitor.
Il patto di non concorrenza tuttavia non può essere eterno e non può impedire al collaboratore o ex dipendente di cercare serenamente nuovi datori di lavoro o altri partner.
Per essere considerato valido, il patto di non concorrenza deve contenere dei limiti di tempo (dai 3 ai 5 anni) e di territorio, in molti casi anche di “oggetto” commerciale.
Inoltre, questa clausola nel contratto deve prevedere un corrispettivo economico.
Imprenditrici e imprenditori, la concorrenza esiste, è la base del mercato libero e se avete deciso di stare in questo mondo, è necessario farsene una ragione.
Prima di agire verso ipotetici competitor, è il caso di valutare se realmente sussiste un illecito e anche in questo il vostro legale deve avere l’onestà intellettuale di dirvi quando questo sussiste o quando si tratta di semplice concorrenza aggressiva (sempre purchè non tracimi in azioni di concorrenza sleale).