La legge sull’aborto e il diritto all’Interruzione Volontaria di Gravidanza sono sempre dibattuti, ad ogni latitudine. Ribadiamo cosa comporta la legge in Italia e cosa accade negli altri paesi.
Se è vero che i diritti, una volta conquistati, non sono mai garantiti per sempre, e ci basta dare un’occhiata in tanti paesi del mondo per ricordarcene, ci sono alcune leggi di tutela e diritti che saranno sempre soggetti a lotta per il loro mantenimento in vigore. Tra questi, tutti i diritti delle donne e, in particolare, il diritto di abortire e di essere tutelate dal sistema statale e sanitario nei casi in cui vi sia una scelta o una necessità di aborto.
Vediamo insieme cosa dice la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia nei suoi punti cardinali, la Legge 194 del 1978: sono passati oltre 40 anni e, anche se troppe volte diventa complicato esercitarne il diritto, questo è sancito. E finché potremo, dovremo difenderlo.
(Vi invito a leggere l’intero testo della norma 194/78)
In chiusura vedremo perché, nonostante un testo di legge piuttosto soddisfacente di cui l’Italia si può vantare, il nostro paese viene spesso percepito come ancora manchevole nell’effettiva garanzia di questo diritto.
Infine, faremo proprio una panoramica su quello che accade altrove e cosa funziona male in termini di empowerment femminile.
Insomma, preparate i livello di attenzione
E ricordate che se amate chiacchierare di diritto, umanità, leggi e legalità, vi aspetto anche su Instagram per non perderci di vista).
Legge sull’aborto in Italia: Lo stato italiano garantisce prima di tutto la maternità responsabile
L’articolo 1 della legge 194 dice che Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
La premessa non è da poco, sembra scritta in Scandinavia e invece no, è italiana e risale a quasi cinquant’anni fa. Asserisce che lo stato riconosce la maternità come un valore sociale, laddove esso sia consapevole, cosciente, voluto.
Il concetto di tutela della vita umana passa, in questa norma, anche attraverso la tutela della non-nascita.
L’Articolo 4 della legge sul diritto all’aborto specifica che è possibile interrompere volontariamente la gravidanza, affidandosi al sistema sanitario, entro i primi 90 giorni dal concepimento, laddove la donna ritenga che vi siano circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica.
Tra le cause e le circostanze in base alle quali la legge garantisce alle donne la possibilità di abortire, ci sono le condizioni economiche o sociali o familiari o le circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del feto.
Insomma, per la legge italiana una donna può ritenere a suo insindacabile giudizio di non essere nelle condizioni emotive, socio economiche, psicologiche e relazionali per avere un figlio.
Interruzione di gravidanza dopo i tre mesi
(90 giorni di cui all’art. 4 della legge 194/78)
Per la legge, sussistono delle casistiche in cui l’interruzione volontaria di gravidanza è garantita anche dopo i 90 giorni, come specificato nell’Art. 6 della normativa.
Tali casi sono:
- quando la gravidanza o il parto comportino un grave rischio per la vita della donna,
- quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi ad anomali o malformazione del nascituro che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Articolo 12: chi decide dell’interruzione di gravidanza?
Potrebbe parere scontato, ma non lo è, soprattutto alla luce di quanto accadeva in Italia prima del 1978 e accade ancora in molti luoghi del mondo (e anche in alcuni contesti sociali nel nostro paese, in cui una donna non ha potere di auto determinazione nonostante la legge glielo garantisca).
La richiesta di interruzione di gravidanza è fatta personalmente dalla donna in stato interessante; la scelta è e deve essere sempre e solo di chi ha una gravidanza in corso e in corpo.
Se la donna incinta è minorenne, tuttavia, la richiesta deve essere fatta dai genitori o dai soggetti esercenti la potestà genitoriale.
Se però nel primo trimestre il medico o il consultorio rilevino seri motivi che impediscano o sconsiglino la prosecuzione della gravidanza nonostante non vi sia l’assenso all’IVG da parte dei genitori della ragazza incinta, o se i medici ritengano la stessa consultazione degli esercenti la potestà genitoriale inappropriata per motivi dimostrabili, questi possono rivolgersi al giudice tutelare che, entro 5 giorni e una volta sentita la donna, può autorizzare l’interruzione di gravidanza con provvedimenti non soggetto a reclamo.
Anche per le minorenni, per l’interruzione di gravidanza dopo i 90 giorni, si applicano le procedure previste per le donne maggiorenni, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà genitoriale.
Una legge bellissima, che tiene in considerazione la salute fisica e mentale, la volontà, l’autodeterminazione di ogni donna; una legge secondo la quale lo stesso personale medico ha il dovere di prendersi cura della donna nella sua scelta di interrompere una gravidanza.
Una legge invidiabile, alla luce di quello che accade in molti paesi neanche tanto lontani; basti vedere il caso che ha sconvolto (c’è da dire, nuovamente) la Polonia, di una donna lasciata morire di shock settico dai medici che hanno voluto attendere che “il feto morisse da sé”, pur di non praticare un aborto.
Ma allora, cosa non funziona in Italia?
Nella stessa legge che tutela il diritto all’aborto esistono articoli che tutelano il diritto dei medici a non praticarlo.
Tale diritto si espleta però esclusivamente nel non praticare l’intervento, mentre è obbligatorio per i medici dare assistenza prima e dopo l’intervento; se non lo fanno incorrono nel reato di rifiuto di atti d’ufficio.
Il dibattito si è riacceso di recente con i nuovi metodi abortivi meno invasivi e non chirurgici, possibili entro le prime 10 settimane, attraverso il farmaco mifepristone, o pillola abortiva (insomma, la RU484).
Al netto del tentativo di divieto – per fortuna fallito – del suo utilizzo nel 2005 da parte di forze politiche vicine al Vaticano, la presenza, in alcune regioni, di un numero esorbitante di obiettori in ospedali e farmacie mettono le donne in serie difficoltà. Ecco alcuni dati (allarmanti) della concentrazione di medici obiettori in ogni regione.
Ci sono troppi casi in cui si manifesta anche la non volontà di personale medico di prestare assistenza nella fase di espulsione dell’embrione (c.d. di secondamento) successiva all’assunzione del farmaco RU 484 e al ricovero (comunque obbligatorio).
Tanto che la Cassazione ha dovuto chiaramente escludere la possibilità di sollevare obiezione di coscienza nella fase di secondamento in quanto attività di assistenza successiva rispetto all’intervento di interruzione della gravidanza.
(Nota a Cass. pen., Sez. VI, 27.11.2012 (dep. 2.4.2013), n. 14979, Pres. de Roberto, Est. Fidelbo).
Sul fatto che siamo in un paese in cui i primari e i medici vengono spostati come pedine politiche e nella politica ci sono ancora molti ambienti anti abortisti, creeremo un trattato a parte.
In quali paesi l’aborto è reato
La cosa che ci deve prima di tutto stupire quando guardiano alla lista dei paesi in cui l’aborto è reato, è che ce ne sono sempre troppi in cui questo diritto non è più garantito, laddove in precedenza lo era.
Si tratta di un campo sul quale pare sia universalmente consentito fare passi indietro.
Davvero difficile è trovare un paese in cui un governo garantisce una diminuzione dell’orario di lavoro o un aumento del salario minino, e il successivo governo, sempre in regime democratico, lo elimini. Invece sul corpo della donna e sul potenziale generativo della stessa, il valzer dei passi avanti e passi indietro sembra essere un dato certo.
I paesi in cui la scelta dell’IVG ha subito negli ultimi anni fortissime restrizioni sono tantissimi, tra cui Polonia, Irlanda, Turchia e Tunisia (IVG consentita solo entro le prime 10 settimane e con il consenso del marito), diversi stati degli USA.
I paesi in cui l’aborto è vietato sono Liechtenstein, Malta, India, Alabama, tutti i paesi dell’America Centrale ad eccezione di Cuba (sempre vietato in Nicaragua e Honduras, consentito solo in caso di rischio vita in Messico e Guatemala). Fino allo scorso settembre l’aborto era illegale anche a San Marino. Finalmente il parlamento sta lavorando alla nuova legge, a seguito del referendum dello scorso settembre.
Nel Sud America… faccio prima a dirvi dove l’aborto è legale: Argentina, Uruguay e Guyana Francese.
Diceva Simone de Beauvoir
“Non dimenticate mai che basterà una crisi politica, economica o religiosa affinché i diritti delle donne siano messi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete stare attente
alla vostra vita.”
Perché sì, al netto del garantito valore sociale della maternità, è della nostra vita che si sta parlando.