Cookie policy: biscotti che amavamo, e che i marketers ci hanno fatto odiare 

Oggi ti racconto una storia che conosci (e in cui sicuramente ti riconosci); in questa fiaba, però, non voglio interpretare il ruolo della strega cattiva, bensì quello della paladina che viene a salvarti dall’esercito dei Cookies: biscotti malvagi che vogliono mangiarti anziché essere mangiati.

Con le armi del diritto, e in particolare della Garanzia alla Privacy, riusciremo a sconfiggerli? 

Scopriamolo insieme.

C’era una volta il consenso alla installazione dei Cookies

La nostra storia, inizia in un normalissimo martedì, di un mese imprecisato.

Come mille altre volte sono intenta a scrollare il mio smartphone alla ricerca di improbabili articoli che, ragionevolmente, non acquisterò.

Quando improvvisamente… il primissimo impatto con una pagina web è: il cookie wall.

Quel fastidiosissimo quadratino, ora quasi impercettibile, ora immenso come la copertura del Maracanà, che ci informa in maniera assolutamente asettica e senza chiederci nulla a riguardo (li vuoi, ti piacciono, sei contento) che sulla pagina che stiamo visitando insistono cookie di terze parti.

Mi riprendo da questo incontro, respiro, e mi dico che:

Secondo le linee guida dei Garanti per la Privacy Europei del 5 maggio del 2020, la questione è ormai chiara: il consenso all’installazione dei cookie deve essere prestato espressamente dall’utente (non vorremmo raccogliere consensi in maniera illegittima, vero?) quindi dovrebbero essere sparite, insieme alle precedenti incertezze interpretative, le diciture che ci assumono felici dell’impianto, sic et simpliciter, dei cookie sul nostro browser/dispositivo.

Purtroppo la mia fiducia nell’umanità è sempre troppa e rimango spesso delusa.

Mi chiedo allora: dove e in che modo hanno chiesto il mio consenso all’utilizzo dei Cookies?

Molto spesso l’utente non ha la possibilità di effettuare alcun tipo di scelta e si trova davanti a desolanti diciture che impongono imprecisate accettazioni.

La mia reazione quasi immediata è l’abbandono del sito incriminato alla ricerca di quello del concorrente che abbia un cookie wall a norma di legge

Se non mi sbaglio questo si chiama “tasso di abbandono”, giusto?

Il caso di Wired America: quando vincono i “buoni”

A tal proposito, mi è capitato sotto mano un caso piuttosto singolare, raccontato da Wired America che mostra un’altra possibile via.

La tv pubblica olandese, sul proprio sito internet, ha optato per una politica volta al rispetto dei dettami del Reg. Ue 2016/679 (il GDPR, per intenderci), chiedendo esplicitamente il consenso all’utilizzo dei cookie ai visitatori. Il 90% degli utenti ne ha rifiutato l’installazione ma ciò non ha portato in alcun modo a perdite nel settore delle sponsorizzazioni pubblicitarie.

Ha, invece, creato nuovi ricavi e modificato il modo di proporre la pubblicità ai propri lettori.

È un caso ma è un caso da tenere d’occhio.

La verità, che ci piaccia o no, è che l’utente medio di internet è molto più sgamato di qualche tempo fa

Siamo subissati da inchieste, notizie, contenuti e pochi, pochissimi, ignorano le principali disposizioni a tutela della privacy o degli acquisti online.

Insomma, l’utente è consapevole dei propri diritti.

E tale consapevolezza, spessissimo, lo porta a scelte di principio.

Tempo fa sul mio profilo instagram @Theblondlawyer chiesi alla mia community se l’eticità e, in generale, il rispetto delle regole da parte di un brand, li portasse a preferirlo rispetto a un concorrente.

La risposta è stata, a gran voce, che sì, il rispetto delle norme, ad oggi, diventa discrimine nella scelta del luogo – fisico o virtuale – dove spendere i propri soldi.

Il superpotere dell’utente (e il lieto fine) 

A questo punto, trovo sia opportuno considerare anche un altro fattore: le notizie che ci giungono dal mondo là fuori sono spesso cattive. Stragi, inquinamento delle falde acquifere, lavoratori trattati come schiavi e imbrogli di vario genere.

Il consumatore è, prima di tutto, una persona che si sente sopraffatta da tali orrori e assiste impotente al loro perpetrarsi. 

Ha capito però che ha un potere: egli può dirigere il flusso di denaro. Quello che dipende da lui, quanto meno.

E così assistiamo alla crescita di aziende che scelgono il plastic free, l’organico, il bio e che virtuosamente, rispettano i diritti dei propri visitatori.

L’utente ha un potere e lo esercita.

Sceglie chi rispetta la sua privacy, chi gli presenta condizioni di acquisto chiare, chi abbraccia politiche a tutela della legalità.

E anche i “markettari” più incalliti dovranno, per il loro bene, rendersene conto.