Il patto di non concorrenza è un tipo di accordo che viene spesso preso in considerazione da molti datori di lavoro nelle fasi di assunzione, non di tutto il personale ma in particolare di alcune tipologie di dipendenti, con ruoli tecnici chiave o in ruoli quadro e dirigenziali.
Capiamo cosa deve prevedere, per il diritto, un patto di non concorrenza con un dipendente affinché sia equo e dunque valido, quali sono i suoi limiti e quando e con chi è davvero il caso di sottoscriverlo.
Ma cosa è, in cosa consiste e cosa deve prevedere un patto di non concorrenza tra datore di lavoro e dipendente?
Quali solo i punti cardine imprescindibili affinché non sia nullo?
E cosa, invece, invalida un patto di non concorrenza con un collaboratore, dipendente o ex dipendente?
Andiamo per ordine e vediamo come il diritto rubrica il Patto di Non concorrenza.
Io sono Valentina Fiorenza, Avvocata esperta di diritto digitale, GDPR, marchi e contratti.
Seguimi per avere pillole quotidiane di diritto e legalità.
Per il diritto del lavoro – quindi, ribadiamolo, stiamo parlando di rapporti contrattuali dipendenti – si riconosce come patto di non concorrenza un accordo scritto (sempre meglio ribadire l’ovvio, perché per la legge nulla è scontato) in cui il datore di lavoro o imprenditore, limita alcune attività di lavoro potenziali e/o future del dipendente o ex dipendente, ovviamente in cambio di un compenso in denaro.
In che cosa consiste questa “limitazione” imposta dal patto? In parole poverissime, perchè su questa questione si sono versati fiumi d’inchiostro, nella clausola di non andare a lavorare per aziende competitor o non creare altre aziende competitor rispetto al core business del datore di lavoro, in un arco di tempo delimitato.
L’articolo del Codice Civile che disciplina questo accordo è l’art. 2125 che è, appunto, inserito nell’insieme delle norme che disciplinano in maniera generale il contratto di lavoro.
Abbiamo accennato alla casistica specifica del patto di non concorrenza quando abbiamo parlato, più in generale, di come difendersi dalla concorrenza sleale perché, in effetti, la ratio che sottende la sottoscrizione di un patto di non concorrenza è soprattutto quella di non permettere ad un ex dipendente di creare delle realtà di impresa competitor , dopo avergli magari insegnato tutti i segreti del mestiere.
I patti di non concorrenza non sono frequenti in tutte le tipologie di imprese e per tutti i tipi di rapporti di lavoro: in genere le figure cui viene chiesto di sottoscrivere questo tipo di accordo sono
- profili molto tecnici, che svolgono ruoli chiave nella produzione di un’azienda (si pensi alle aziende tecnologiche che assumono personale altamente qualificato in mansioni molto specifiche, figure difficili da sostituire)
- profili quadro e ruoli dirigenziali (che in genere hanno accesso a dati importanti dei flussi dell’azienda che li assume)
- profili per la cui formazione tecnica si è molto investito.
In pratica con un accordo di non concorrenza, l’imprenditore si accerta che una figura dipendente non porti altrove le sue competenze, soprattutto se in parte finanziate dalla sua azienda (ad esempio, io imprenditore credo nella tua figura, ti mando a fare formazione tecnica di due anni in Cina e in America affinché impari a costruire complessi software e voglio premurarmi che, dopo pochi anni, tu non accetti l’offerta di un’azienda competitor, mandando in fumo il mio investimento).
Quali sono gli elementi chiave di un patto di non concorrenza valido?
Il patto di non concorrenza non si può fare con tutti i tipi di rapporto di lavoro e ha delle caratteristiche imprescindibili per essere valido.
Quali sono le caratteristiche base di un accordo di non concorrenza:
- Deve avere forma scritta (no, per ribadire l’ovvio, non può essere verbale e sarebbe opportuno che non fosse appuntato in qualche e-mail);
- Il patto di non concorrenza NON è parte del contratto di assunzione, ma è un accordo stipulato a parte;
- Deve essere sottoscritto dal prestatore di lavoro (cioè il soggetto assunto).
Cosa rende nullo un patto di non concorrenza?
Oltre ad essere vincolato ai punti su indicati, il patto di non concorrenza è nullo se non ha al suo interno delle chiare indicazioni di vincoli di tempo e luogo, se non si comprende bene qual è l’oggetto dell’accordo, se ha vincoli di tempo superiori a 5 anni nel caso di dirigenti e di 3 anni nel caso di dipendenti non dirigenti.
Ovviamente il patto è nullo se non prevede un corrispettivo economico a favore del prestatore di lavoro, che deve essere “congruo” (non due briciole, per capirci).
Di fatto, secondo la normativa, nessun datore di lavoro può importi limiti eterni nelle tue scelte lavorative future e anche se lo fa per un periodo limitato, è tenuto a corrispondere una somma che ammortizzi gli eventuali mancati guadagni derivanti dai vincoli imposti dal patto.
Affinché il patto di non concorrenza sia valido deve avere anche
- dei limiti geografici chiari e circostanziati (regione, città, provincia)
- oppure l’indicazione chiara di quali sono le aziende competitor (o lo specifico settore merceologico, non è necessario fare nomi e cognomi) con le quali si desidera che l’ex dipendente non lavori nei tre-cinque anni a seguire.
Cosa succede se il dipendente o ex dipendente viola un patto di non concorrenza?
Quando il dipendente nonostante l’esistenza di un accordo come questo, crea una sua attività concorrente o firma un contratto con altre aziende in competizione con la precedente potrebbe essere tenuto a:
- restituire la somma erogata dall’ex datore di lavoro per la sottoscrizione;
- pagare una penale (che è sempre meglio indicare preliminarmente nel contratto) al quale può serenamente accompagnarsi, ove ce ne siano i presupposti, un risarcimento del danno.
Conviene davvero firmare o far firmare un patto di non concorrenza?
Incredibile ma vero, a volte capita che alcune aziende investano molto nella crescita e nella formazione dei loro dipendenti e per queste, avere un dipendente che va via e mostra infedeltà lavorando per concorrenti o diventandolo a sua volta è un rischio di impresa (e ogni azienda sa che non può esimersi dal correrne).
Ma per alcune realtà è un rischio di impresa che si cerca di correre il meno possibile, perché perdere anche un piccolo segmento di mercato potrebbe comportare serie perdite.
Un’azienda deve tuttavia valutare se l’eventuale lavoro del dipendente dimissionario per un’azienda concorrente comporterebbe realmente una possibile perdita economica pari o superiore alla quietanza da versare per la firma del patto.
Ai dipendenti è il caso di ricordare che il patto di non concorrenza deve essere proposto e non imposto (pena la non assunzione) e, come su scritto, è fondamentale che sia indicato il compenso che il datore di lavoro è obbligato a versare come ammortizzatore.
Ogni accordo aggiuntivo al contratto di lavoro deve essere frutto di una onesta trattativa.